La lingua non descrive solo le cose, le forma, e così contribuisce in modo rilevante a formare l’idea del mondo. Per questo un uso consapevole delle parole aiuta a evitare le discriminazioni, gli stereotipi di genere e le relative differenze di trattamento che non tengono conto dei cambiamenti sociali.
Questo è un prospetto di come vanno definiti i diversi ruoli professionali al femminile.
Dai termini in -o, -aio/-ario si ricavano quelli in -a, -aia/-aria.
Quindi sono ok architetta, avvocata, capitana, chirurga, critica, deputata, marescialla, ministra, prefetta, notaia, sindaca, primaria.
Dai termini in -(i)ere si ricavano quelli in -(i)era.
Quindi vanno bene carabiniera, cancelliera, consigliera, ingegnera.
Dai termini in -sore si ricavano quelli in -sora.
Quindi assessora, difensora, revisora. Vanno bene anche professoressa, studentessa, dottoressa, ormai di uso consolidato.
Dai termini in -tore si ricavano quelli in -trice:
ambasciatrice, amministratrice, direttrice, ispettrice, senatrice.
I termini in -e o in -a e le derivazioni di participi presenti latini al femminile restano invariati, con l’anteposizione dell’articolo femminile:
la caporale, la generale, la giudice, la parlamentare, la preside, la ufficiale, la vigile, l’interprete, l’atleta, la poeta, l(a) agente, la cantante, la comandante, la dirigente, la tenente, la presidente.
Anche i composti con capo- preceduti dall’articolo femminile restano invariati:
la capofamiglia, la caposervizio, la capo ufficio stampa.